L’imprevedibilità umana sarà la costante del nostro futuro tecnologico. Un futuro che ogni genitore prova generosamente ad immaginare per i propri figli, ipotizzando il miglior set di valori imprescindibili come naturale conseguenza di un’istruzione affidabile.
Ma oggi, siamo davvero in grado di prevedere quali saranno i valori fondanti di una società tecnologica, che borbotta impaurita di scatolame cibernetico e sostituzione occupazionale?
No, non lo siamo. Ed è per questo motivo che nessuno ha previsto con ragionevole anticipo l’ascesa di Trump, lo spiaggiamento di oltre 400 esemplari di balena pilota sulle coste della Golden Bay in Nuova Zelanda e una pandemia.
Mettiamoci il cuore in pace allora e smettiamo di pensare che farcire di capacità estremamente competitive, le vite dei nostri figli sia un vantaggio. Non lo è più e non servirà a nulla.
Nel 2030 i software scriveranno altri software [in realtà già lo fanno] ed in ogni toilette ci sarà un assistente vocale, capace di tradurre in ciascuna delle centinaia di varianti linguistiche cinesi, le tue imprecazioni per aver perso un chip neurale nella tazza del cesso di un albergo di quello che rimane di Shenzhen.
Per questo motivo penso che un’istruzione universitaria tradizionale e locale sia la cosa peggiore che possa capitare ai miei figli in uno scenario in cui presumibilmente, le prerogative umane non saranno la conoscenza e l’ingegneria, ma capacità di creare con amore, empatia e creatività.
Oggi possiamo già imparare dagli altri come mai prima nella storia umana: a distanza, ad istanza, in prossimità e con il mantello dell’ubiquità sulla rete.
Questo scenario di apprendimento, affonda le sue radici nel lontano 1874, quando l’Illinois Wesleyan University ebbe il coraggio di somministrare i primi corsi universitari a distanza, spedendo via posta le lezioni.
Nel 2006 Salman Khan, fondò la Khan Academy, un canale youtube per l’istruzione primaria e secondaria, progetto a cui si sono poi ispirate piattaforme MOOC (Massive Open Online Courses) come Coursera, Edx, Udemy, con l’intento di rendere liberamente fruibile on-line un enorme quantità di contenuti.
Nell’autunno 2011 la Stanford University erogò gratuitamente un corso post laurea di intelligenza artificiale (oggi migrato su Udacity) al quale si sono iscritti circa 160.000 studenti provenienti da 190 paesi. Io c’ero, ed ero lo studente numero 135.978!
Impariamo meglio anche grazie a quanto gli altri apprezzano ciò che facciamo ed è forse questo il vero motivo della spasmodica ricerca di approvazione sui social da parte dei giovanissimi.
Nei processi di apprendimento sociale, i giovanissimi sono preparati -anzi istruiti!- a gestire il rifiuto e la mancata approvazione delle loro competenze, dei loro ideali, dei loro sogni?
Dopo la rivoluzione industriale abbiamo considerato la matematica, la lettura e la scrittura come gli elementi di base per la sopravvivenza; le migliori leve per il nostro lavoro, per produrre valore e generare l’ingombrante ROI (ritorno dell’investimento) per chi ci avrebbe assunto.
Ma guardando ai fatti, le aziende oggi si lamentano per le scarse capacità dei laureati, spesso motivatissimi ma obiettivamente formati su competenze obsolete ancor prima di arrivare sul mercato ed istruiti sapientemente a non mettere in discussione il sapere così duramente conquistato a colpi di crediti universitari.
Oltre il 60% dei candidati ad una posizione lavorativa invia la propria candidatura pur non possedendo i requisiti minimi richiesti rivelando l’assenza di capacità critica ed autocritica – chi fa colloqui di selezione sa di cosa parlo -.
Questo il motivo per cui le aziende più tecnologiche iniziano a cercare laureati in scienze umanistiche.
Così in un mondo di meta-verità e meta-linguaggi, di informazione immediata, diffusa, abbondante e non sempre vera, essere in grado di formarti un’opinione critica, riavvolgendo ciò che ti ha raccontato un robot, diventa una abilità molto più importante della conoscenza stessa, facilmente e velocemente reperibile.
Con questo non voglio dire che imparare a scrivere sia una perdita di tempo, ma siamo sicuri sia ancora una priorità in un futuro di interazione uomo macchina?
Le risposte non le ho, ma sto correndo, da buon padre di famiglia, il rischio che una nuova verità molto inquinante e sempre accesa sul comodino mi permetta di imparare in un anno di informazioni “convogliate” su Twitter più di quanto non abbia appreso in un anno di università, generando più network di quanto non abbia mai potuto costruire in 20 anni di relazioni aziendali.
Ovvio, non è possibile cambiare tutto ora e non è nemmeno auspicabile abbandonare l’attitudine alla lettura in giovane età, ma forse è giusto iniziare a smascherare l’inadeguatezza di alcuni modelli educativi e professionali, lasciando il campo alla capacità dei nostri figli di sognare ed alla volontà genitoriale di infondere loro equilibrio, velocità critiche ed autonomia, senza paura che il tempo trascorso on-line ci restituisca l’immagine dell’incapacità di vivere insieme, genitori e figli, un futuro inimmaginabile.
Questo post è la versione breve del post “Basta con il coding, lasciamoli sognare“