Non ho mai perso la fiducia nella politica, perché non ce l’ho mai avuta.
La politica mi annoia. Mi annoia da sempre, da quando trenta anni fa incorniciavo nella porta del dirimpettaio, la faccia affannata dell’operaio mandato all’ora di cena (non solo la tua ma anche la sua) a batter cassa per finanziare noiosissimi giornali di “lotta” che pochi leggevano, da quando il candidato da sottobosco politico di ogni metropoli che si rispetti si faceva vedere all’inaugurazione liceale del nuovo laboratorio di fisica che di li a poco sarebbe stato abbandonato per mancanza di fondi.
La voglia di mobilità sociale ti fa scappare da questi luoghi, da queste persone, se ne hai la forza e se ti rimane qualche neurone ancora disposto ad essere felice, lasciandoti capacità quasi soprannaturali di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno.
La felicità, il cui impatto oggi è più sociale che psicologico, è un aspetto che dovrebbe essere costantemente nei pensieri di chi, votato o meno, è chiamato a fare gli interessi della democrazia. Interessi basati sulla fiducia e sulla soddisfazione di una gerarchia di bisogni: accesso al sistema sanitario, dignità umana, lavoro. Diversamente senza uno stato sociale generoso ed inclusivo, i livelli di felicità diventano disastrosamente bassi. E’ questa l’impressione dell’Italia che una parte della mia generazione, seppur con spirito, si sta amaramente costruendo.
Si lo so stai pensando “l’ennesimo post di un hater”. No, non proprio, il bicchiere è ancora mezzo pieno. E questo è un lamento corredato di soluzioni. Il tema dell’economia della felicità presente negli scritti di Ruut Veenhoven è un pretesto per ricordare a me stesso da dove vengo, lasciarne traccia in questo non luogo (devo ancora capirne il perchè) e restituirti l’idea che quell’alveare da cui sono scappato mi ha dato il grande privilegio di poter vedere le cose con felicità e con semplicità, sempre.
C’è speranza insomma? Io voglio avere fiducia. Perché la fiducia è un valore non meno importante della libertà e della dignità ed anche se i politici ne parlano solo quando fa a loro comodo, senza fiducia non potrebbe esserci democrazia e non potrebbe esserci economia.
E non è un caso che la fiducia dei piccoli risparmiatori tradita recentemente dalle banche, da Bankitalia, dalla Consob, abbia spezzato un’ala al sistema della felicità sociale e dell’economia.
Insomma c’è meno felicità e per questo motivo la scarsa attenzione della politica nel garantire ai cittadini un buon livello di controllo è stato senza dubbio l’ennesimo autogol.
Ma forse, la dirompente tristezza nel vedere trasformata in povera, la gente che povera non era, rende tutto più vero anche nei non luoghi dell’individualismo assopente dei social-network ed obbliga la noiosissima politica a prendersi qualche rischio per occuparsi di felicità.
Forse basterà non fidarsi troppo della felicità millantata per essere tutti più felici e salvare questo paese dall’enorme spreco generato dall’infelicità collettiva.