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Massimiliano Vurro

Un maestro disobbediente

Caro amico mio,
oggi la casa tace. Non c’è più quel russare che faceva vibrare i muri, né il tonfo della ciotola quando ti prendeva fame a orari che solo tu conoscevi.
Adesso il silenzio è pulito, chirurgico. Fa quasi schifo.
Sul soffitto è rimasta una macchia di bava: la tua firma. Non la pulirò, per ora. Le reliquie non si lavano.

Dicono che allevare un bloodhound sia un’impresa. Stronzate.
Non si alleva un bloodhound, si tenta di sopravvivere accanto a lui. È un trattato di diplomazia quotidiana.
Tu non ascoltavi, non per ribellione: avevi semplicemente cose più importanti da fare come decifrare l’odore del mondo e inseguire fantasmi che io non vedevo.
Io ti chiamavo, tu annusavi. Fine della conversazione.

Avevi la testa di un filosofo ubriaco e le maniere di un parente invadente.
Dormivi dove non si poteva, sbavavi dove non si doveva, e amavi come se fosse un mestiere.
Non eri un cane da compagnia, eri un cane da occupazione. Ti prendevi tutto: spazio, tempo, pensieri.
Tiravi come se ti aspettasse una guerra oltre la collina, e forse era così.
La libertà, per te, era un richiamo più forte della mia voce.

Con te ho capito che gli animali non vivono nel nostro tempo.
Non hanno calendari, non fanno bilanci. Loro stanno, dentro il momento, interi.
Ogni mattina è nuova, ogni ritorno è epico, ogni carezza è una dichiarazione d’intenti.
Noi, invece, contiamo le ore e ci perdiamo la vita.

Mi mancheranno le routine, anche quelle che maledicevo.
Come quando graffiavi la porta, bussando come un visitatore educato. Ti aprivo, e tu restavi lì, a fissarmi, poi ti voltavi e te ne andavi.
Non ho mai capito quel gioco. Forse volevi solo dirmi di non prendermi troppo sul serio.
Di uscire, magari, e andarmi a bere una birra con qualcuno.

Mi mancheranno le camminate notturne, il guinzaglio teso come un filo di trincea, il tuo muso radente al suolo e io dietro, figurante.
Mi mancheranno le volte in cui saltavi addosso agli ospiti, sporcandoli di bava e amore, come a dire: la vita è breve, non sprecatela comportandovi bene.
E avevi ragione, cane di sangue.

Sei stato con me nei giorni storti, e anche in quelli buoni, quelli normali, pieni di cose da fare, di briciole sul pavimento e di te in mezzo a tutto.
Come un errore necessario, come una medicina che non sapevi di somministrare.

Ora la casa è ordinata.
Pulita. Silenziosa.
Un fallimento quasi perfetto a cui impiegherò mesi ad abituarmi.
Mi manca il tuo disordine, il rumore, quella scia di vita che ti portavi addosso come un odore di bosco e pioggia vecchia.

Addio, vecchio anarchico.
Maestro di disobbedienza, filosofo dell’istinto.
Se c’è un posto oltre questo, so che ci sei arrivato seguendo una pista invisibile, con il naso basso e la coda lenta.
E so che, anche lì, non mi ascolterai.
Ma questa volta va bene così.

Grazie Napo per il tempo che mi hai dato con grazia.
È andato via troppo in fretta, come tutto ciò che vale la pena perdere.