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Massimiliano Vurro

L’economia circolare è gratis?

Cose, molecole e persone.

Cose

Il 9 luglio 2015 il Parlamento Europeo ha votato la risoluzione sull’efficienza delle risorse con due obiettivi:

1- Rivoluzionare l’approccio “consumo-produzione” in Europa.

2- Esortare la Commissione Europea a considerare la possibilità di introdurre un indicatore “ad impronta” per  risorse e servizi eco-sistemici lungo tutto il loro ciclo di vita.

Così per chi consuma e produce è diventato fondamentale riconoscere nel glossario alchimista il valore di enunciati quali zero rifiuti, progettazione eco-compatibile, design sostenibile, casa passiva, chimica verde. 

Ma stiamo andando nella direzione giusta o si tratta di parole prive di concreta attuazione?

Formalmente il modello economico di tipo lineare basato sul pattern “prendi-usa-consuma e smaltisci” è entrato in crisi da tempo, poiché basato sullo scenario non più attuale di risorse abbondanti, disponibili e a buon mercato da smaltire.

Potrebbe essere d’aiuto il modello circolare basato sul riuso, la rigenerazione ed il riciclaggio di materie e prodotti esistenti giunti a fine vita. Nulla di nuovo, cose che sentiamo continuamente e che, con un po’ di rammarico, non sempre il legislatore stimola nell’attuazione.

Attuazione che ricade sulle tasche del consumatore. Per fare un esempio, la Direttiva Europea sull’eco-design  ha costretto  in tempi recenti fabbricanti ed importatori ad adeguare i propri sistemi di eco-progettazione ed affrontare non pochi oneri di engineering o negoziali su filiere asiatiche poco reattive al sistema normativo ambientale del vecchio continente.

L’effetto insomma è simile a ciò che capitò ai tempi dell’implementazione del sistema di restrizione di sostanze chimiche pericolose in elettronica attraverso la RoHS. E’ stato un effetto positivo?

Ambientalmente si, finanziariamente no, poiché concretamente l’azione legislativa si è tradotta in un 25% di aumento per la fornitura  “verde”e nella peggiore delle ipotesi, in un ulteriore 10% di aggravio  per il reverse chimico dei materiali nel rispetto del Regolamento REACH relativo alla registrazione, valutazione ed autorizzazione all’uso di sostanze chimiche in Europa.

Forse tu penserai che questi sono i costi da affrontare per non ammalarsi di cancro ed avere prodotti rispettosi dell’ambiente. Ma non è esattamente così e ti spiego perché.

Molecole

Partiamo dall’estrazione e la produzione di minerali rari, diventati strategici per l’industria high tech. Non che sia un fatto recente: l’Europio, una delle terre rare, si usa dagli anni 60 per la produzione di tubi catodici.

Il 90% di questi minerali è in Cina (nella regione regione di Batou), mentre la stessa percentuale dei metalli del gruppo del platino è detenuta da Russia e Sudafrica; il cobalto è concentrato in Congo e Zambia; il neodimio viene prodotto per il 77% in Brasile.

La capacità di “efficientare” i nostri device da parte di questi minerali è enorme, ma la sostenibilità nel processo estrattivo non è così elevata. Noi vediamo, e forse anche il legislatore, solo un effetto che si manifesta nella parte centrale del ciclo di vita del prodotto: quello dell’utilizzo. Ma cosa accade in fase estrattiva?

Persone

La sostenibilità è un tema concreto, fatto di produzione, “Bill of Materials”, margini, materiali innovativi in grado di adempiere egregiamente alla loro funzione come sostitutivi e, soprattutto di paghe di minatori africani.

Ovviamente non ho soluzioni, ma posso suggerire, quale spunto di riflessione, alcuni scenari tra loro complementari, la cui implementazione passa obbligatoriamente attraverso lobby positive trasnazionali, volontà politica trasparente e consapevole, sia comunitaria che nazionale.

Riepilogo qualche idea, di cui non rivendico la paternità, ma che abbraccio e rielaboro costantemente nella pratica professionale, poiché largamente consolidate nella letteratura più recente:

– Superamento dei divari locali nell’organizzazione dei sistemi di gestione dei rifiuti (RAEE)

– Eliminazione del disequilibrio (non degli impianti) da recupero energetico di alcuni grandi impianti di termovalorizzazione, oltre che dell’inefficacia (per non parlare dell’irrazionalità) nella gestione informativa del flusso dei rifiuti (SISTRI).

– Incentivazione della R&D (strumenti fiscali) industriale e ridisegno dei percorsi universitari (SCUOLE POLITECNICHE) a favore di percorsi concreti di Design per il disassemblaggio e LCA.

– Tariffazione puntuale dei rifiuti, dove aziende e cittadini pagano l’indifferenziato prodotto. – Puntuale copertura territoriale del fabbisogno attraverso impianti di preparazione al riciclo evoluti per imballaggi (anche pannolini).

– Introduzione di misure specifiche di allungamento della durata di vita dei prodotti, in antitesi con la prassi strutturata dell’obsolescenza programmata che alimenta l’after-market a favore di agreement finanziari in ammortamento. – Incentivazione dei servizi in sharing anziché individuali attraverso strumenti progettuali accessibili a tutti.

– Diffusione della cultura dello sviluppo sostenibile tra i nativi digitali, attraverso progetti efficaci o ben integrati con i POF elementari statali.

– Ri-attualizzazione di tecniche lean derivanti dal pensiero fondamentale di grandi innovatori del passato.

L’innovazione di prodotto, lo stravolgimento dei paradigmi di tracciabilità del consumo (IoT) e gli scenari produttivi più recenti possono garantire interessanti prospettive, una delle quali forse è già in atto attraverso “rivoluzioni silenti” quali Industry 4.0. Tutto questo però non è gratis, e non alludo ai soli stipendi degli operai congolesi.

E il Made in Italy sarà pronto al cambiamento?

And we are reducing the time line by reducing the non-value adding wastes.
Taiichi Ohno

TO